L’occhio è lo specchio dell’anima e in questo caso non sembra essere un’anima pura. I due registi ci mostrano l’impossibilità che può avere l’uomo medio nel rapportarsi con il mondo che lo circonda: l’isolamento, la reclusione, le fobie e gli scheletri nell’armadio.

L’interpretazione fobica di Alberto Di Stasio riesce a portare lo spettatore in un clima di ansia e angoscia; un uomo profondamente distrutto nell’anima che non riesce a staccarsi da un passato che continua a perseguitarlo nel presente.

I registi sembrano usare l’occhio come metafora di finestra sul mondo, al quale il protagonista non riesce ad affacciarsi, restando quindi chiuso in se stesso.

Anche Roberta Nevola riesce a darci una buona interpretazione, trasformandosi alla perfezione da semplice e ingenua ragazza a donna rabbiosa e spietata.

Ottima la regia a quattro mani che non cerca per niente di strafare o di spingere al massimo, ma che invece resta immobile e viene avvolta da una fotografia buia e fredda.

 

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