VOTO: 8

 

Una qualsiasi memoria cinefila, nel relazionarsi al surf, avrà tra i suoi punti di riferimento quello che viene unanimemente considerato uno dei migliori film di John Milius: Un mercoledì da leoni. Lì il versante avventuroso e la fotogenia delle onde ricoprivano senz’altro un ruolo importante. Ma di certo non trascurabile era il versante esistenziale, la capacità del mare (riconosciuta dall’autore anche per ragioni autobiografiche) di interagire con lo stato d’animo dei protagonisti…
Amplificate al massimo, certe prerogative più “intimiste” le abbiamo ritrovate in un bel documentario disponibile adesso su Amazon PrimeMindsurf di Luca Alessandro. Dall’Oceano al Tirreno. Sebbene l’appeal delle riprese in acqua resti forte anche qui, sono le particolari ragioni che hanno spinto a cimentarsi con la tavola da surf ciascuna delle donne, di cui si racconta in breve il vissuto, ad appassionare maggiormente lo spettatore. Surfare come terapia, per abbracciare assieme al mare le proprie ferite e le tante, troppe incertezze del vivere.

Chi sono le eroine del primo gruppo di “Mindsurf”, stando al nome scelto per questa peculiare fusione di attività acquatiche e autoanalisi, di iniziazione al surf e terapia di gruppo? Stefania, Claudia, Anita, Rosita, Lalla, Alessandra, Simonetta, Manuela, Barbara. Alle loro spalle storie molto diverse tra loro, ma un analogo desiderio di superare traumi più o meno gravi, insicurezze, fasi di stallo che possono capitare a ognuno di noi. Sorprende e commuove la compattezza del gruppo. Ma il merito, naturalmente, è anche della sensibilità di chi le ha accompagnate in tale percorso: da un lato la loro guida in acqua, l’istruttore e campione di surf Genesio Ludovisi, prestatosi a tale compito con generosità autentica; dall’altro la loro guida non tanto “a terra” quanto piuttosto nei meandri della mente umana, le cui sofferenze non possono certo risultarle estranee, essendo Ilaria Alessandro non soltanto psicoterapeuta molto attenta alle condizioni di marginalità (nonché ideatrice del progetto stesso), ma a sua volta reduce dalla gravissima perdita famigliare accennata proprio all’inizio del film.

Elaborazione del lutto. Sfide da accettare per non restare troppo ancorati al passato e superare i propri blocchi, le proprie paure. Relazioni empatiche da stabilire con gli altri. Più o meno questa è la griglia di emozioni e di obiettivi, personali ma anche collettivi, entro cui si muove un così variegato gruppo di donne, al quale il pubblico del documentario fa presto ad affezionarsi, visti il coraggio, la tenerezza, la non così scontata solidarietà femminile. Così come apprezzabilissime risultano da subito la partecipazione emotiva e la dedizione stessa di “mentori” d’eccezione, come Ilaria e Genesio.
In filigrana la difficoltà nel costruire relazione umane sane e profonde è evidenziata, per contrasto, dai segni inequivocabili dell’era Covid, ovvero dalle mascherine ancora usate in alcuni incontri di gruppo; oppure da quello split screen che non è in questo caso omaggio agli anni ’70, bensì rappresentazione visiva dei partecipanti ad altre riunioni “virtuali”, quelle che potevano avere luogo solo a distanza, tramite PC o cellulari. Parte del film ci ricorda pertanto la tristissima, per certi versi assurda epoca che tutti noi abbiamo vissuto, quella in cui la parola d’ordine non era sentirsi il più possibile vicini ma mantenere presunte distanze di sicurezza. A ribadire le ragioni della vita, però, intervengono in Mindsurf non soltanto le gioiose e talora ipnotiche riprese in acqua, ma anche certe mediazioni artistiche; su tutte la composita, magnetica colonna sonora, cui sommiamo però volentieri le poetiche animazioni di sabbia di Nadia Ischia e l’istruttivo incontro delle ragazze con Emmanuel, attore e insegnante di clown parimenti coinvolto in tale progetto.

Stefano Coccia

 

Articolo su : https://www.cineclandestino.it/mindsurf/